ROMA (ITALPRESS) – L’uscita di scena di Armani pone l’obbligo di una riflessione sul mondo della moda italiana. Il modello voluto da Re Giorgio per la sua azienda è lontano dalle dinamiche degli ultimi decenni e non soltanto in Italia. Il mondo della moda resta uno dei settori di punta del “Made in Italy” insieme all’alimentare e alla filiera del mobile e arredamento. L’Italia affianca l’eccellenza produttiva a una forte capacità di influenzare le tendenze di settore a livello mondiale. Ma il settore è dominato dalle multinazionali francesi che negli ultimi anni hanno fatto incetta di marchi italiani. Il gruppo Lvmh – a cui fanno capo marchi come Louis Vuitton, Dior, Fendi, Bulgari – ha chiuso il 2024 con 86 miliardi di fatturato e 22 miliardi di utile operativo. Kering, si è fermato a 19,6 miliardi.
Il “fashion” italiano rappresenta ancora la punta luccicante di una filiera industriale in cui, secondo uno studio di Cdp, operano 53.000 aziende con 400.000 occupati.
Nel 2024, però, i dati hanno raccontato di una frenata. Il fatturato totale si è fermato a 97,7 miliardi di euro, in calo del 3,5% rispetto ai 101,3 miliardi dell’anno precedente.
Numeri che fanno male a un Paese che, proprio sulla moda, costruisce l’8-9% del Pil manifatturiero e un export annuo intorno agli 80 miliardi. Gli italiani, però, messi uno accanto all’altro, fanno meno di metà di Lvmh. La differenza non è solo di bilanci: è di potenza di fuoco. Con quei numeri, il gruppo di Bernard Arnault può comprare un marchio italiano come fosse un accessorio da boutique. E infatti, la lista dei gioielli già persi è lunga. Ecco perché Armani era diverso. Non ha mai ceduto. Ha costruito un meccanismo testamentario blindato: un trust familiare che impedisce la vendita della maison. Una diga contro i francesi, i qatarioti e i fondi cinesi. Un’ossessione, più che una clausola: la garanzia che la sua creatura resti italiana. Con lui scompare non solo lo stilista, ma il custode dell’italianità nel lusso.
Il “fashion” italiano rappresenta ancora la punta luccicante di una filiera industriale in cui, secondo uno studio di Cdp, operano 53.000 aziende con 400.000 occupati.
Nel 2024, però, i dati hanno raccontato di una frenata. Il fatturato totale si è fermato a 97,7 miliardi di euro, in calo del 3,5% rispetto ai 101,3 miliardi dell’anno precedente.
Numeri che fanno male a un Paese che, proprio sulla moda, costruisce l’8-9% del Pil manifatturiero e un export annuo intorno agli 80 miliardi. Gli italiani, però, messi uno accanto all’altro, fanno meno di metà di Lvmh. La differenza non è solo di bilanci: è di potenza di fuoco. Con quei numeri, il gruppo di Bernard Arnault può comprare un marchio italiano come fosse un accessorio da boutique. E infatti, la lista dei gioielli già persi è lunga. Ecco perché Armani era diverso. Non ha mai ceduto. Ha costruito un meccanismo testamentario blindato: un trust familiare che impedisce la vendita della maison. Una diga contro i francesi, i qatarioti e i fondi cinesi. Un’ossessione, più che una clausola: la garanzia che la sua creatura resti italiana. Con lui scompare non solo lo stilista, ma il custode dell’italianità nel lusso.
abr/gtr