Nuove tasse su gas metano e carburanti per ripianare il deficit Ue

La gestione Ursula von der Leyen della Commissione europea è sempre più fallimentare con debiti che crescono senza alcuna programmazione.

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L’ennesima prova dell’incapacità gestionale e politica di Ursula von der Leyen sia nella precedente Commissione che nell’attuale è evidenziata dall’ammontare del deficit di bilancio comunitario che impone la ricerca di nuove coperture tramite nuove tasse, oltre alla sottovalutazione della gestione del primo maxi indebitamento comune legata al Next Generation Ue, dove 750 miliardi di debiti per consentire la ripresa post pandemica da una parte sono stati in gran parte inutilizzati da parte dei paesi beneficiari e, dall’altra, sono stati imputati nei bilanci di previsione a tasso zero, quando nel giro di pochi mesi i tassi sono volati al 3%, con ulteriore incremento del fabbisogno da finanziare, pari a circa 30 miliardi all’anno.

Per fare fronte al buco di bilancio, dal 2027 una direttiva Ue consentirà di prelevare (indirettamente) dalle tasche dei contribuenti europei fino a 705 miliardi ricorrendo ad uno strumento già rodato, quello dello scambio delle emissioni di carbonio, l’anidride carbonica o CO2. Il sistema è già applicato alle emissioni legate alla produzione di energia elettrica da fonti fossili, industria pesante dell’acciaio e produzione di cemento e ora la Commissione europea vorrebbe estenderlo ai consumi di gas metano da parte delle caldaie di riscaldamento e ai carburanti per autoveicoli.

Ovvio che se aumentano i costi legati alle emissioni di CO2, questi non potranno che riverberarsi anche sui consumatori finali, tanto che uno studio di Bloombergnef valuta un rincaro delle bollette per il riscaldamento domestico fino al 41%. Ancora nulla si sa sulle ripercussioni sul fronte dei carburanti, già di loro ampiamente vessati dal peso fiscale con la leva delle accise – un unicum anch’esso europeo, visto che nel mondo i carburanti sono gravati solo dalla tassa sul consumo come l’Iva -, ma è facile che dinanzi ad una previsione dell’aumento del costo dei permessi di emissioni di CO2 dagli attuali 70-75 euro/tonnellata a 149 euro/tonn entro il 2030 non potrà non avere effetti molto pesanti sul costo del pieno.

Uno scenario indigesto per molti paesi, specie per i “grandi” Ue come Francia, Germania, Italia e Spagna contributori netti al bilancio Ue, ma anche dei paesipercettori” come Polonia e Slovacchia che non hanno nemmeno recepito la direttiva Ue.

Per la Commissione Ue di Ursula von der Leyen il problema è drammaticamente urgente, visto che deve gestire un deficit annuale di 30 miliardi per il prossimo quadro pluriennale 2028-2034, con la volontà di incrementare le proprie entrate dirette senza dovere passare dalle entrate indirette attraverso la contribuzione dei vari stati sulla base del proprio Pil e gettito Iva. A questo si aggiunge la necessità di coprire le rate di rimborso del NextgenUe da 750 miliardi a partire dal 2028. Senza considerale la necessità di coprire le spese legate al supporto del conflitto ucraino (solo nel 2024: 4,7 miliardi di sussidi e 13,1 miliardi di prestiti che difficilmente saranno rimborsati) e i progetti per la difesa comune per altre decine di miliardi, con un debito Ue noto ad oggi di 682 miliardi di euro con scadenze ravvicinate (il 58% scade entro il 2034).

Se nuove tasse sull’energia sono difficilmente digeribili da cittadini ed imprese europei già alle prese con un costo dell’energia decisamente più alto rispetto ai concorrenti internazionali, a partire da Usa e Cina, si guarda anche a scenari alternativi per portare a Bruxelles nuove risorse, come una quota della tassa sulle importazioni ad alta intensità di CO2 (Cbam), oppure una tassa sui servizi digitali (invisa agli Usa), una tassa sui piccoli pacchi che entrano nell’Ue da Paesi terzi (Cina su tutti), l’aumento delle tasse sul tabacco o sul contenuto di zucchero e sale negli alimenti. Tutte tasse regressive e altamente impopolari.

Di fatto, Ursula von der Leyen paga la sua politica abborracciata e la deriva demagogica ambientale voluta dal suo ex vicepresidente socialista Frans Timmermans, degnamente sostituito da un altro pasdaran verde come la socialista spagnola Teresa Ribera. Il Ppe farebbe bene a prendere il coraggio a due mani, giubilare un suo esponente decisamente sotto il minimo livello di sufficienza e dirottarlo ad un meritato riposto per evitare all’Unione europea ulteriori danni. Magari, già che si è, il Ppe potrebbe pure prendere atto che nell’Europarlamento esiste una maggioranza alternativa, meno deleteria per il futuro dell’Unione e dei suoi cittadini: varrebbe la pena sperimentare l’alternativa, visto che sarebbe difficile fare peggio di quanto fatto dalle due Commissioni a guida Ursula.

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