Dumping fiscale: l’accusa della Francia all’Italia

Il premier francese Bayrou denuncia la tassazione di vantaggio italiana sui milionari che si trasferiscono in Italia, ma il vero dumping è quello applicato dai vari piccoli stati Ue sulle aziende.

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La crisi politica ed economica francese deve essere decisamente forte, tanto da fare sbroccare il premier francese François Bayrou che, nel corso di una conferenza stampa televisiva a reti unificate su tutti i canali d’oltralpe ha accusato l’Italia di praticaredumping fiscale” nei confronti dei contribuenti fisici danarosi francesi, incentivandoli a trasferire la loro residenza per fruire di una tassa fissa sui redditi conseguiti all’estero di 200.000 euro all’anno per il contribuente principale e di 100.000 per ciascun familiare a carico.

La tassazione italiana di vantaggio nata durante il governo Renzi per facilitare l’arrivo nel Belpaese delle star dello sport, a partire da quel Cristiano Ronaldo – di fatto la tassa si chiamaCR7” – dall’ingaggio multimilionario ha attirato, nel quadriennio 2020-2023, 2.875 paperoni (di cui 1.108 familiari), per un totale di circa 4.000 contribuenti agevolati e un incasso per l’erario di 315,3 milioni di euro.

Il premier italiano, Giorgia Meloni, tenta di derubricare l’ennesimo attacco con armi spuntate d’oltralpe affermando che «l’Italia è piuttosto, da molti anni, penalizzata dai cosiddettiparadisi fiscali europei”, che sottraggono alle nostre casse pubbliche ingenti risorse. Confidiamo che, dopo queste affermazioni del suo primo ministro, la Francia voglia finalmente unirsi all’Italia per intervenire in sede di Unione europea contro quegli Stati membri che applicano da sempre un sistematicodumping fiscale”, con la compiacenza di alcuni Stati europei».

Dumping fiscale
François Bayrou e Giorgia Meloni.

Ecco, se si deve parlare di “dumping fiscale” questo riguarda le politiche tributarie che i vari paesi dell’Unione europea applicano soprattutto alle aziende e alle varie multinazionali, tanto da innescare fenomeni di turismo fiscale da parte di aziende che chiudono le sedi legali nei paesi di origine per trasferirle in quelli a fiscalità di vantaggio. Che spesso sono proprio i piccoli paesi Ue definitifrugali”, quelli che predicano il rigore nei conti pubblici altrui, ma che poi alimentano i propri attingendo a mani basse alla ricchezza prodotta in altri paesi più ricchi e produttivi di loro.

In campo di “dumping fiscale”, l’Unione europea paga l’essere una realtà politica costruita a partire dal tetto di una moneta unica ma priva delle fondamenta di una costituzione – guarda caso bocciata nel 2005 proprio dai “maestriniFrancia e Paesi Bassi – e da una politica fiscale il più possibile omogenea. La situazione è che oggi realtà come Paesi Bassi, Belgio, Irlanda e anche l’Ungheria attraggono imprese dall’estero grazie alla loro fiscalità di vantaggio, senza che la Commissione abbia nulla da obiettare. Ma questi stati non sono nulla rispetto al vero paradiso fiscale in termini di tassazione e di trasparenza pressoché nulla di Isole Vergini britanniche, Cayman e Bermuda.

Il meccanismo del dribbling fiscale che finisce con l’impoverire gli stati a forte base manifatturiera a vantaggio di quelli dimensionalmente più piccoli e con scarso spessore produttivo è basato sul meccanismo delle royalty e le commissioni di servizio che i gruppi multinazionali utilizzano per pianificare le proprie uscite fiscali. Gli utili derivanti dalla vendita di beni e servizi a terzi o dall’estrazione di risorse naturali sono solitamente difficili da trasferire: compaiono nei libri contabili della società del gruppo che svolge l’attività. Facendo pagare a queste società (e dedurre dalle tasse) ingenti quantità di royalty e commissioni di servizio verso altre consociate in giurisdizioni a bassa tassazione, la multinazionale trasforma i profitti ad alta tassazione in profitti a bassa tassazione. Questa pratica può essere limitata solo imponendo limiti all’uso di detrazioni intra-gruppo per royalty e servizi. Proprio quello che l’Ue non è mai riuscita a fare, prigioniera delle decisioni all’unanimità, con i paesi che attualmente godono del vantaggio indiscriminato per nulla propensi a chiudere la mangiatoria dove pascono indiscriminatamente alle spalle altrui.

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