Dazi Usa: Trump manda a Ursula la letterina con la soglia che sale dal 10 al 30%

Il pachiderma Ue rischia grosso per la sua incapacità di trattare, lascianado il successo alla sola Gran Bretagna.

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Come promesso, alla fine la letterina di Donald Trump piena di carinerie e dolcezze verso l’interlocutore è arrivata anche a Bruxelles con Ursula von der Leyen che ancora una volta è caduta dalle nuvole, visto che la sua illusione di riuscire a conseguire un’area a cavallo dell’Atlantico a dazio zero 0, al massimo, con dazio al 10% – così come ha ottenuto la Gran Bretagna – è svanita trovandosi appioppata un’aliquota al 30% cui va aggiunto quel quasi 15% di svalutazione accumulato dal dollaro nei confronti dell’euro nei primi sei mesi del 2025.

Di fatto, il pachiderma Ue che tentava di trattare con un obiettivo irraggiungibile, schernendo per di più la Gran Bretagna per la sua corsa a siglare la trattativa con gli Usa al 10%, si è trovato con un pugno di mosche in mano. E la realtà con cui confrontarsi è decisamente amara, puntuale testimone della sua debolezza puntualmente impersonata dalla Commissione di turno.

Anche se la trattativa è ancora in corso, bisogna che l’Ue dia un colpo di reni, anche perché l’amministrazione Usa ha usato la leva dei dazi solo sul fronte manifatturiero dove vanta un deficit a suo danno di circa 190 miliardi, mentre ignora il forte surplus a suo vantaggio – per circa 150 miliardi – che ha sul fronte dei servizi digitali e finanziari. Se il bilancio fosse corretto, frutto della somma di dare e avere di tutti i comparti, il disavanzo complessivo tra Usa e Ue sarebbe decisamente diversa, con un disavanzo a danno degli Usa ridotto a 50-60 miliardi di euro.

Bisognerà vedere se la truppa comunitaria alle dipendenze di Ursula von der Leyen sarà in grado di difendere adeguatamente gli interessi europei e degli stati dell’Unione – cosa di cui è lecito dubitare – dai dazi Usa partendo dal mettere una serie di vincoli alla totale libertà di manovra che le aziende Usa hanno nei campi dei servizi digitali e finanziari, utile anche per tutelare tutti quei produttori di servizi europei che oggi devono fronteggiare una concorrenza sleale fatta di divario fiscale e di sostanziale monopolio, rilanciando la produzione sul territorio unionale anche a vantaggio del gettito tributario europeo di cui può godere anche la stessa Commissione europea.

Intanto, dalle parti di Bruxelles si cincischia allestendo i contro dazi – al momento congelati – in risposta alle misure già in vigore. Le prime risposte Ue ai dazi mirati di Trump valgono poco meno di 21 miliardi di euro. Tutto è cominciato lo scorso 12 marzo, quando l’amministrazione Usa ha reintrodotto dazi del 50% sia sull’acciaio che sull’alluminio europeo e del 25% sul settore autoveicoli. In risposta, l’Ue ha approvato un pacchetto articolato in tre fasi, pensato per colpire simboli e settori politicamente sensibili per l’economia Usa: un primo scaglione da 3,9 miliardi prende di mira prodotti iconici come le moto Harley-Davidson, i jeans Levi’s, il burro d’arachidi, il tabacco e una selezione di articoli per la cura della persona. Si aggiungono dazi su acciaio, elettrodomestici e tech leggero. Una seconda e una terza tranche (da 13,5 e 3,5 miliardi) si spingono più a fondo: colpiscono carni e pollame dal Midwest, legname del Sud, cereali, fast-food, moda, cosmetici, e perfino la soia della Louisiana.

Un secondo pacchetto Ue da 72 miliardi di euro è la risposta ai dazi Usauniversali” del 10% annunciati dalla Casa Bianca tra il 5 e il 9 aprile. Le contromisure, inizialmente valutate in 95 miliardi di euro e poi limate, riguardano un mix di beni industriali, prodotti agroalimentari di alta gamma, dal bourbon del Kentucky alle aragoste del Maine, passando per agrumi, cosmetici e moda. La lista è in fase avanzata di approvazione da parte degli Stati Ue.

Sul fronte dei servizi digitali e finanziari, campo in cui le aziende Usa pascolano indisturbate in una condizione di monopolio di fatto, a Bruxelles si parla di applicare accise digitali su pubblicità o intermediazioni, di una “digital service taxcomunitaria (che esiste già in diversi Paesi, tra cui l’Italia). Le grandi piattaforme online americane però temono soprattutto che Bruxelles applichi fino alle estreme conseguenze le recenti riforme del Digital Service Act e Digital Markets Act: impongono obblighi su trasparenza, concorrenza e moderazione dei contenuti e, in caso di violazioni, fioccano multe fino al 10% del fatturato globale annuo o l’esclusione dal mercato europeo. Vincoli potrebbero essere applicati anche sul risparmio europeo gestito dai fondi Usa spesso a vantaggio per l’economia americana, ponendo vincoli all’esportazione fuori del territorio unionale.

A livello pratico, il Codacons ha realizzato alcune simulazioni sull’applicazione di un dazio del 30% su alcuni prodotti simbolo Usa venduti in Europa. La moto Harley Davidson oggi viene venduta in Italia ad un prezzo di listino pari a 15.900 euro per il modello più economico, fino ad arrivare ai 50.600 euro per il top di gamma, la “Road Glide ST” che con il dazio salirebbe di 4.770 euro per il modello base a 15.180 euro per quello più esclusivo, che arriverebbe così a costare 65.780 euro.

Nel caso dei jeans impostati il prezzo medio rischia di salire dagli attuali 120 euro a 156 euro (+36 euro). Gli snack dolci americani (prezzo medio 1,5 euro) rincarerebbero di 45 centesimi, mentre il prezzo di un vasetto di burro d’arachidi da 340 grammi, se prodotto negli Usa, salirebbe in media di 1,5 euro.

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