Riarmo Ue e spesa al 5% del Pil: possibile fare meglio sprecando di meno

I 27 paesi Ue spendono mediamente 300 miliardi all’anno in difesa, senza alcun coordinamento o standardizzazione dei sistemi d’arma.

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L’aumento della spesa militare al 5% del Pil dei paesi Nato comporterebbe un forte aumento rispetto al 2% medio raggiunto dai paesi Ue e al 3,4% degli Usa, ma molto si potrebbe fare già oggi standardizzando meglio i sistemi di arma ora estremamente differenziati a seconda dei vari paesi, coordinando meglio il riarmo Ue.

A livello quantitativo, raggiungere una soglia del 5% di spesa militare, anche separandola tra il 3,5% in spesa militare pura e l’1,5% di spesa militare accessoria relativa alle infrastrutture di mobilità logistica militare, rimane un obiettivo difficilmente raggiungibile, anche rispetto agli elevatissimi debiti pubblici dei vari stati, a partire dagli Stati Uniti.

Da più parti, prima di aumentare i finanziamenti alla spesa militare, si sottolinea la necessità di aumentare l’efficienza della spesa per la difesa e prevenzione, a partire da una maggiore standardizzazione e qualità dei vari prodotti, superando l’attuale particolarismo nazionalista, a partire da Francia e Germania che prima di tutto vogliono difendere la propria industria militare, anche se spesso tecnologicamente inadeguata.

Prima ancora di sbandierare i possibili 150 miliardi che la Commissione europea ha vaticinato di spendere nell’ambito del Safe (Securty Action For Europe) presentato da Ursula von der Leyen per il riarmo Ue, sarebbe meglio che l’Ue facesse una rivisitazione generalizzata dei vari sistemi d’arma esistenti e prodotti dall’industria europea, uniformando in un’unica linea di prodotto carri armati, blindo leggeri e pesanti, cannoni, obici, fucili, droni, eccetera, ripartendo poi i singoli armamenti standardizzati tra le varie industrie a seconda della loro specializzazione.

Sarebbe una soluzione di elementare buon senso – ma che a Bruxelles pare difettare grandemente – che darebbe maggiore capacità e ritorno ai già 300 miliardi spesi dai vari paesi europei. Sarebbe anche un fondamentale passo avanti pure per l’aspetto logistico dei rifornimenti delle truppe al fronte, che oggi devono gestire diverse tipologie di carburante per il rifornimento dei mezzi (dal gasolio al cherosene alla benzina), pezzi di ricambio e munizionamento, oltre che in termini di addestramento operativo dei militari per utilizzare al meglio i diversi sistemi d’arma.

Ma sotto c’è altro. Nel suo afflato verso il riarmo Ue, c’è la spinta commerciale e di business, il presidente Usa, Donald Trump, ha visto aumentare grandemente la propria quota nel mercato globale degli armamenti, passata nel giro di appena cinque anni dal 35% al 43%, con potenzialità ancora maggiori, anche in considerazione che dallo scoppio della guerra in Ucraina ad oggi, le importazioni di equipaggiamenti miliari da parte dei paesi europei Nato sono più che raddoppiate (+155%), con il 64% di tali importazioni che arrivano da produttori americani.

E con il continuo deprezzamento del dollaro rispetto alle altre monete (da inizio 2025 ad oggi sull’Euro il dollaro si è svalutato del 16%), le esportazioni Usa di armamenti potrebbero aumentare ulteriormente, limitando la competitività del settore europeo che paga la miopia ultraventennale dei politici europei in tema di difesa che hanno sottovalutato colpevolmente la necessità di tenere efficiente e funzionante la filiera europea, oggi dipendente dalle forniture estere (Cina su tutte) pure per la polvere da sparo e della nitrocellulosa.

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