Redditi dei dirigenti pubblici: la Corte costituzionale toglie il tappo dei 255.000 euro

Un ricorso presentato da un magistrato amministrativo sgorga l’aumento dei mandarini della pubblica amministrazione e delle società pubbliche non quotate con un uno scenario di crescita fino a 360.000 euro lordi annui.

0
102

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma che fissa nel limite di 240.000 euro (poi portato a 255.127,83 euro lordi grazie alla Finanziaria 2022) del tetto ai redditi dei dirigenti pubblici e delle società pubbliche non quotate, grazie ad una norma del famoso decreto 80 euro di Matteo Renzi premier.

La sentenza della Consulta riallinea la retribuzione dei mandarini di Stato al trattamento economico spettante al primo presidente della Corte di Cassazione che al momento è di 311.658 euro, soggetto ad un più che probabile ritocco al rialzo, visto che il suo ammontare risale a 11 anni fa, con uno scenario di crescita proiettato fino a 360.000 euro.

La sentenza ha riguardato le retribuzioni dei magistrati, grazie ad un ricorso presentato dal presidente aggiunto del Consiglio di Stato, Carmine Volpe, che nel 2015 ha avviato il contenzioso proprio per i tagli subiti dalla sua retribuzione.

Pur ribadendo che la previsione di un “tetto retributivo” per i redditi dei dirigenti pubblici non contrasta di per sé con la Costituzione, ha dichiarato l’illegittimità della norma che fissa nel limite di 240.000 euro lordi anziché nel trattamento economico onnicomprensivo spettante al primo presidente della Corte di cassazione. È in base a tale parametro, come fino al 2014, che il “tettodovrà essere definito con un prossimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

Il limite massimo retributivo era stato introdotto con il decreto-legge n. 201 del 2011, come convertito, per tutti coloro che ricevono emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche, mediante rinvio allo stipendio del primo presidente della Corte di cassazione. Con il decreto legge del 2014 il tetto retributivo è stato invece determinato nel suo ammontare in misura fissa, con una significativa decurtazione del trattamento economico di alcuni magistrati, per i quali la questione di fondo non è solo di vile denaro, ma è ammantato dal più alto principio dell’indipendenza della magistratura, tutelato dagli articoli 104 e 108 della Costituzione: principio che, secondo la Consulta, «va salvaguardato anche sotto il profilo economico» per «evitare il mero arbitrio di un potere sull’altro», come si legge nella sentenza 223 del 2012 della stessa Consulta.

Per i primi anni in cui la norma sul tetto ai redditi dei dirigenti pubblici ha trovato applicazione essa è stata ritenuta non costituzionalmente illegittima poiché considerata una misura straordinaria e temporanea, giustificata dalla situazione di eccezionale crisi finanziaria in cui versava il Paese. Ma l’Italia è quel paese dove tutto quanto nasce come provvisorio e temporaneo si trasforma in definitivo. Con il trascorrere del tempo, tuttavia, essa ha definitivamente perso quel requisito di temporaneità. La Corte costituzionale ha inoltre ritenuto che l’incostituzionalità della citata norma, in ragione del carattere generale del “tetto retributivo”, non possa che operare in riferimento a tutti i pubblici dipendenti. Trattandosi di una incostituzionalità sopravvenuta, la declaratoria di illegittimità non è retroattiva e produrrà i suoi effetti solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale. Evitando così la corsa all’incasso dei lautissimi arretrati per gli ultimi cinque anni che avrebbero dato un’ulteriore bottarella al bilancio dello Stato.

Nessuno mette in dubbio che la qualità e la responsabilità del lavoro vada adeguatamente retribuito. Ma bisogna che ad alte retribuzioni corrispondano altrettante alte responsabilità e tangibili risultati, con il rischio di essere rimossi senza preavviso ed indennizzo nei casi in cui i risultati siano insoddisfacenti, così come sta accadendo, ad esempio, nella gestione della spesa del Pnrr dove molti dirigenti dell’amministrazione centrale e locale andrebbero rimossi. Parallelamente, bisognerebbe intervenire anche nel settore privato per calmierare l’esorbitante crescita delle remunerazioni dei vertici delle società, una corsa che ha allargato all’inverosimile la forbice tra un “normalelavoratore e i suoi vertici. Anche in questo caso, pagare a peso d’oro, anzi, di platino con retribuzioni mensili milionarie certi amministratori delegati di aziende e, soprattutto, di banche che hanno fatto bilanci stratosferici solo grazie alle politiche dei tassi decisi dalla Banca centrale europea è decisamente poco giustificabile, oltre che etico.

Per rimanere sempre aggiornati con le ultime notizie de “ViViItalia Tv”, iscrivetevi al canale Telegram per non perdere i lanci e consultate i canali social della Testata. 

Ti piace “Lo Schiacciasassi”? Iscriviti qui sul canale YouTube di “ViViItalia Tv”

Ti piace “ViViItalia Tv”? Sostienici!

YouTube

Telegram

https://t.me/ViviItaliaTv

Linkedin

https://www.linkedin.com/company/viviitaliatv

Facebook

https://www.facebook.com/viviitaliatvwebtv

© Riproduzione Riservata