Mangiatoia cinema: 863.000 euro di tax credit anche presunto killer di villa Pamphili

Il contributo assegnato nel 2020 dal governo Conte 2 e ministro alla cultura Franceschini. In tutto, dopo la riforma Franceschini il tax credit è costato 4 miliardi di euro per finanziare film flop al botteghino, sempre che in sala siano arrivati.

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Il tax credit del cinema ideato da quel vulcano di proposte clientelari come l’ex ministro Dem alla cultura Dario Franceschini ha trasformato un sostegno pubblico in una gigantesca mangiatoia cinema per tanti produttori e registi “amici” che hanno letteralmente munto le casse dello Stato in una sorta di nuovo sacco di Roma, costato circa 4 miliardi per via di finanziamenti automatici introdotti dalla riforma Franceschini basati sulla proposta di un budget, spesso gonfiato ad arte, per incassare una contribuzione variabile da un minimo del 20% ad un massimo del 40%.

Gonfiare i preventivi è stato un gioco facile, anche osservando le remunerazioni spesso milionarie per alcuni registi di stretta osservanza della fazione Dem del ministro Franceschini, quelli che si sono sollevati dietro l’iniziativa del nuovo ministro Alessandro Giuli di ricondurre alla normalità la mangiatoia cinema, una situazione originata dal fatto che i controlli preventivi e a posteriori legati all’erogazione dei contributi paiono essere stati praticamente inesistenti e, se esistenti, estremamente blandi ed aggirabili.

Così evanescenti che pure il presunto killer del duplice omicidio di villa Pamphili a Roma pare averne lautamente beneficiato: secondo Franco Bechis, direttore di Open, il ministero dei beni culturali del governo Conte Bis retto da una maggioranza Pd, M5s e sinistre allargate, avrebbe erogato il 27 novembre 2020 un tax credit di 863.505,90 euro alla produzione del filmStelle della Notte” del regista Rexal Ford alias Francis Kaufmann, ovvero il presunto killer della giovane donna russa e della sua figlia, con un decreto registrato al numero 2872 a firma di Nicola Borrelli, all’epoca direttore generale della sezione cinema e audiovisivi del ministero retto dal principale supporter della futbura segretaria Pd, Elly Schlein.

Di fatto, ad un personaggio che gira per il mondo con passaporti falsi e che si spaccia per regista e produttore, senza alcun controllo sulle generalità del richiedente, sulla affidabilità economica e presentazione di opportune garanzie, il ministero di Franceschini ha erogato una bella somma di denaro pubblico che è stato scontato pronta cassa in una banca.

Sarebbe bastato effettuare qualche controllo di elementare prudenza per fare emergere una realtà diversa da quella millantata, anche alla luce di quanto scrive la Procura della Repubblica di Roma nel mandato di cattura internazionale («ha dimostrato un’elevata capacità criminale»), oltre ad essere stato arrestato cinque volte negli Usa per violenza aggravata che a Malta pare avere costituito una società di comodo tramite cui presentare la domanda di finanziamento al ministero di Franceschini con un preventivo di spesa gonfiato per un film che non ha mai girato nemmeno un minuto di scene.

Insomma Giuli ha fatto bene a stroncare l’allegro andazzo chiedendo una profonda rivisitazione del meccanismo anche per evitare che il giocattolo continui ad alimentare i soliti noti che al botteghino incassano solo manciate di euro a fronte di contributi pubblici milionari.

Ci sarebbe da chiedere anche una valutazione sull’operato del sottosegretario al ministero della Cultura con delega al cinema, sia durante il primo governo Conte (M5s-Lega Salvini) che nel Draghi e nel Meloni, quella Lucia Borgonzoni di stretta osservanza salviniana che pare non essersi accorta di nulla di quanto accadeva al ministero in un ambito affidato alle sue cure, tanto che pare esserci stato un forte contrasto tra lei e il nuovo ministro Giuli per quanto accaduto nella mangiatoia cinema.

Più che un meccanismo automatico, sarebbe meglio tornare ad un comitato di valutazione cui sottoporre i progetti di nuove iniziative, da analizzare nel dettaglio non tanto sul lato del politicamente corretto, ma piuttosto sul valore culturale o sociale del tema proposto, lasciando a pure logiche di mercato tutte le altre proposte.

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