C’era una volta il buon governo delle maggioranze democratiche al potere nelle regioni e città “rosse”, ma oggi la vulgata è messa sott’accusa dalla Corte dei conti che, pur promuovendo il bilancio della regione Emilia Romagna, emblema del buon governo progressista da sempre al potere, ne certifica un certo mal governo, eredità delle giunte Bonaccini, che ha causato un buco strutturale di 400 milioni, in gran parte generato dal sistema sanitario locale.
La Corte dei conti nel giudizio di parifica dei conti regionali spinge il governo regionale a mettere strutturalmente in sicurezza i conti dell’ente, cosa che comporta una seria azione di revisione della spesa pubblica incidendo sugli sprechi, manomorte ed inefficienze varie che si traducono in consenso elettorale. Operazione difficile per i politici di tutti i colori e di tutti i tempi.
Proprio quella sanità che nei lustri costituiva vanto del potere “rosso”, a forza di bilanci fuori controllo e dirigenti scelti più con il criterio della lottizzazione e della vicinanza a questo o a quel ras politico si è ora trasformata in un fardello che rischia di costare caro ai contribuenti emiliano romagnoli con un buco di 197 milioni di euro. E il rimedio proposto dal nuovo governatore regionale Michele De Pascale, succeduto alle due giunte a guida Stefano Bonaccini trasmigrato all’Europarlamento, è quello noto e sperimentato da tutti i governi di qualsiasi colore: aumento della tassazione.
Così, De Pascale ha confezionato la sua ricetta per coprire il buco eredità delle giunte Bonaccini ora e per gli anni a venire: un piatto che prevede aumenti all’Irap (+ 0,3 punti dal 2026 per un gettito previsto di 100 milioni), sale l’addizionale Irpef per i redditi oltre 28.000 euro (altri 200 milioni), aumenta il bollo auto del 10% per 50 milioni stimati nel 2026 e, dulcis in fundo, arrivano nuovi ticket sanitari (sui farmaci 2,2 euro a confezione, con un tetto di 4,00 euro a ricetta) per 50 milioni nel 2025 e 70 milioni nel 2026.
La ramanzina contabile della Corte dei conti viene derubricata da De Pascale a un fatto politico di «maggiore spesa, non uno squilibrio. Avremmo potuto chiudere un terzo degli ospedali, tagliare il personale del 10%, ma non lo vogliamo fare. Vogliamo aumentare la spesa, non ridurla». Bene, e il passo successivo è conseguente.
Per il presidente della Sezione di controllo della Corte dei conti, Marcovalerio Pozzato, «il disallineamento è strutturale. Mi auguro si riesca ad agire anche sul versante del risparmio, senza colpire i servizi essenziali». Ecco, la parola magica è risparmio che, però, agli occhi di una certa politica si trasforma quasi in una bestemmia pronunciata in chiesa. Sarebbe stato interessante vedere la politica sperimentare tagli degli sprechi, delle manomorte, delle inefficienze varie per liberare risorse sia per ridurre il bilancio nel suo insieme, ma anche per finanziare in equilibrio quella maggiore spesa tanto cara alla politica. Ma così non è neanche questa volta e la politica preferisce ravanare ulteriormente nelle tasche dei contribuenti con una grandine di aumenti fiscali.
Non solo: la Corte dei conti evidenzia anche le difficoltà della “macchina” regionale nel pagare i fornitori e di incassare: il rendiconto 2024 certifica un’impennata preoccupante, con i residui passivi (i debiti) superano i 6 miliardi, di cui 4 da pagare. I residui attivi (crediti da riscuotere) sono arrivati a 13 miliardi, con un fondo crediti inesigibili che ha superato i 500 milioni (+64 milioni in un anno).
Peccato solo che l’esistenza di un bilancio regionale strutturalmente in deficit e di una classe politica Dem fortemente in difficoltà nella corretta gestione dei conti pubblici sia stata resa nota ad urne fredde, con molti elettori che avrebbero potuto scegliere diversamente se avessero avuto contezza dei reali “successi” dei governi Bonaccini.
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