Quello che sta emergendo sotto il colpi dell’inchiesta milanese sul rito urbanistico ambrosiano è una sorta di far west immobiliare, dove i potenti (costruttori, immobiliaristi, sviluppatori vari e fondi d’investimento) hanno avuto mano libera di trasformare vecchi edifici o cortili in torri alte oltre 40 metri senza rispettare le norme urbanistiche e pagare gli oneri di urbanizzazione, con danno per le casse comunali e per tutti quei residenti che si sono visti svalutare le loro abitazioni dall’edificazione di alti palazzi che hanno tolto luce, affaccio e aria.
Nella sentenza della Cassazione penale in merito al sequestro delle tre “Torri Lac” deciso nella primavera 2024 dalla Gip Lidia Castellucci realizzate sul sedime di un capannone industriale abbandonato si stabilisce come il rito urbanistico ambrosiano fosse fallato e come le stesse affermazioni dell’assessore all’urbanistica dimissionato, Giancarlo Tancredi («la legge del 1942 era vecchia e l’ignoravamo»), fossero all’insegna di un’interpretazione estremamente di vantaggio per i poteri forti e contro l’interesse pubblico.
Nella sentenza, la Cassazione riconosce l’operato fatto dagli inquirenti che hanno censurato l’edificazione di tre torri alte dai 27 ai 43 metri per un totale di 77 appartamenti fatta passare come una ristrutturazione autorizzata senza piano attuativo particolareggiato previsto dalla legge, ma solo con una semplice Scia-Segnalazione certificata di inizio attività̀, rigettando il ricorso contro il sequestro proposto dalla società “Nexity Milano Parco delle Cave srl”, confermando come nei comuni dotati di piano regolatore generale non si possa costruire oltre i 25 metri di altezza senza un piano attuativo particolareggiato.
Alla III sezione della Cassazione (presidente Ramacci, relatore Noviello) la norma «appare inequivoca, molto chiara, senza alcun termine, eccezione o deroga» possibile, sconfessando di fatto la sentenza del Tar della Lombardia del giorno prima , dove i giudici amministrativi avevano rigettato il ricorso di un condominio di via Razza (zona Stazione Centrale) contro il via libera senza piano attuativo, e con solo una Scia, alla costruzione di un palazzo (non oggetto di inchieste) più̀ alto di 25 metri, ammettendo questa possibilità̀ nei casi in cui la zona fosse «già̀ completamente urbanizzata», una casistica a Milano praticamente universale.
Nella sua sentenza sul rito urbanistico ambrosiano, la Cassazione penale, richiamando anche sentenze della Corte Costituzionale, precedenti propri e del Consiglio di Stato, ha specificato che anche in un ambito già̀ urbanizzato una nuova costruzione può̀ richiedere, in rapporto al contesto circostante, una rimodulazione delle opere di urbanizzazione; e che perciò̀ la legge obbliga a un piano attuativo, ribadendo le previsioni e la validità della legge del 1942, quella «disapplicata” dalla giunta comunale di Beppe Sala, peraltro ribadita nei concetti anche dalla legge n. 12/2005 della Regione Lombardia, dove si specifica che «in relazione alla popolazione da insediare secondo le previsioni del documento di piano è assicurata una dotazione minima di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale pari a 18 metri quadri per abitante». Un principio su sui la giunta Sala ha sorvolato, ma che la Cassazione ha ribadito essere in urbanistica «principi fondamentali e inderogabili».
Non solo: nella sentenza, la Cassazione ha ribadito anche la preminenza dell’interesse pubblico su quello dei privati, siano i costruttori che gli acquirenti terzi degli appartamenti, perché l’obbligo del piano attuativo «esprime il senso profondo del principio della pianificazione» per assicurare la «realizzazione contemperata di una pluralità̀ di differenti interessi pubblici incidenti sul medesimo territorio», e scongiurare i «guasti urbanistici» dello «sfruttamento intensivo», «con buona pace della complessità̀», in «agglomerati edilizi privi delle infrastrutture necessarie».
Un interesse pubblico superiore che comprime anche quello degli «acquirenti terzi, che in buona fede abbiano stipulato contratti per l’acquisto» di case abusive in corso d’opera, «non possono in alcun modo trovare tutela attraverso l’abdicazione, da parte dell’autorità̀ giudiziaria, del suo potere-dovere di sequestro», funzionale all’obbligo legislativamente sancito di «impedire la protrazione dei reati in presenza dei presupposti di legge».
Conseguentemente, agli acquirenti «estranei al reato hanno la facoltà̀ di far valere sul piano civile la responsabilità̀ dell’autore dell’illecito per i danni subiti», ovvero di fare causa per il danno subito, al costruttore per la realizzazione di un edificio abusivo o anche agli amministratori comunali semmai dovessero essere condannati per la mancata applicazione delle norme urbanistiche.
Una situazione esplosiva, visto che l’inchiesta della Procura milanese interessa oltre 150 cantieri e 1.500 famiglie che avevano stipulato contratti di acquisto, spesso anticipando anche ingenti somme e con rate di mutuo che corrono.
Anche se le responsabilità penali sono tutte da accertare, quelle politiche per una gestione non rispettosa delle norme con il rito urbanistico ambrosiano è ormai evidente, e le sole dimissioni dell’assessore all’urbanistica Tancredi non paiono sufficienti, visto che il responsabile politico ultimo è lo stesso sindaco Sala, che dovrebbe trarne anche le dovute conseguenze per i danni che il suo mancato controllo all’attività dei suoi assessori e della commissione paesaggio stanno causando a migliaia di persone.
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