Eurodelirio ambientalista Ue: quindici anni di tempo per tagliare del 90% le emissioni di gas climalteranti rispetto ai livelli del 1990. E altri 10 per arrivare al loro totale abbattimento entro il 2050. Dopo tanti rinvii, la Commissione europea ha messo sul tavolo la proposta di obiettivo climatico al 2040, confermando però di voler offrire ai 27 Paesi opzioni di flessibilità con cui centrarlo: tra tutte, quella destinata a dividere è la possibilità di acquistare crediti internazionali di carbonio da Paesi extra Ue e conteggiarli per raggiungere fino al 3% delle emissioni, vanificando così il feticcio dell’abbattimento al 100% propugnato dai talebani dell’ambientalismo a prescindere.
«L’obiettivo è chiaro, ma il percorso è pragmatico e realistico», ha scandito Ursula von der Leyen, parlando sia ai sostenitori del “Green Deal” che ai detrattori. I crediti internazionali – di cui Bruxelles dovrà chiarire criteri e origine – dovranno provenire da attività sostenibili «credibili e trasparenti» e segnano un cambio di passo nella politica climatica dell’Ue che per la prima volta guarda fuori dai propri confini per raggiungere gli obiettivi climatici.
«E’ stata una questione politicamente delicata», ha ammesso il commissario Wopke Hoekstra in conferenza stampa, dopo aver consultato per mesi gli Stati membri più critici per capire in che termini ammorbidire il target senza, di fatto, stravolgere la percentuale del 90%, che è stata raccomandata a Bruxelles dagli “esperti scientifici” del clima dell’Ue. Tra le altre flessibilità, Bruxelles fa leva sull’inclusione dei meccanismi di rimozione «permanenti» della CO2 nel mercato del carbonio Ets per aiutare i settori difficili da decarbonizzare e offre maggiore libertà sui settori a cui dare priorità nel raggiungimento del target.
La politica si divide sullo scenario dell’eurodelirio ambientalista Ue. Da Roma, il ministro all’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, rivendica di aver sostenuto da principio misure di flessibilità per il nuovo target tra cui la contabilizzazione di iniziative di decarbonizzazione in Paesi terzi.
L’approccio pragmatico sul target era «necessario per avere qualche possibilità di ottenere la maggioranza in Parlamento e Consiglio» ha detto il portavoce del Ppe per il clima, Peter Liese, mentre i crediti di CO2 preoccupano il mondo dell’attivismo green e i sostenitori del “Green Deal”. «La flessibilità non può diventare una via di fuga per la deregolamentazione», ha messo in guardia l’eurodeputato Pd Antonio Decaro, contrario a «deroghe mascherate o ambiguità» che possano minare la credibilità dell’Ue già di suo ampiamente inficiata, a partire dalla questione della gestione dei vaccini su cui il prossimo 10 luglio Ursula von der Leyen dovrà fronteggiare una censura dell’Europarlamento.
Critici anche i Verdi Ue e la Sinistra che li reputano «inefficaci», mentre sul fronte opposto la Lega, nelle parole di Silvia Sardone, denuncia obiettivi «ideologici e insensati», perché troppo ambiziosi. Target definito «irrealistico» anche da Fratelli d’Italia che con Carlo Fidanza mette in guardia «sul rischio di desertificare la produzione in Europa». «La proposta della Commissione europea di ridurre del 90% le emissioni entro il 2040 ripropone una visione ideologica che ha già messo a rischio la nostra industria e la coesione sociale, ignorando l’impatto reale su imprese, lavoratori e famiglie – sottolinea l’europarlamentare di Forza Italia, Salvatore De Meo -. Con il nuovo assetto della Commissione a guida popolare abbiamo il dovere di correggere le distorsioni ereditate dal “Green Deal” targato Timmermans. La vicepresidente socialista Ribera tenta oggi di ammantare di pragmatismo un’impostazione che di fatto ricalca quella stessa linea: vincoli rigidi, flessibilità solo apparente e scarsa attenzione alla tenuta del nostro sistema produttivo».
Dal fronte della manifattura, l’eurodelirio ambientalista Ue viene letto su diversi fronti, «con riferimento alle tempistiche dell’attuazione, non possiamo non esprimere forte preoccupazione: il “Clean Industrial Deal” (Cid) prevede ben 53 atti, tra legislativi e non legislativi, con l’ultimo previsto per fine 2027. Considerando che in media un iter normativo europeo richiede da 1 a 2 anni, è facile intuire che le tempistiche del Cid non siano compatibili con l’urgenza che il momento impone. Per questo, riteniamo fondamentale evitare di limitarsi a nuove comunicazioni o ulteriori analisi: è il momento di agire» ha detto il delegato del presidente di Confindustria per l’energia, Aurelio Regina.
«Il nodo centrale della competitività industriale europea resta il costo dell’energia. – ribadisce Regina -. Oggi l’energia elettrica per uso industriale continua a costare in Europa fino a tre volte più che in altri grandi sistemi economici. L’Action Plan for Affordable Energy, parte del Cid, pur individuando alcune leve di intervento, non è all’altezza della sfida. Concentrarsi sugli oneri e sulla fiscalità nazionale, senza introdurre strumenti realmente europei, aggrava le disuguaglianze tra Stati membri e compromette le condizioni di concorrenza nel mercato interno. È necessario un cambio di paradigma. Servono misure strutturali per disaccoppiare il prezzo dell’elettricità da fonti rinnovabili da quello del gas».
Anche sugli investimenti l’Ue non regge il confronto con Usa e Cina. Per Regina «i 100 miliardi di euro complessivamente mobilitati dall’Innovation Fund e dall’InvestEU sono insufficienti rispetto alla portata degli investimenti richiesti. Il confronto con gli Stati Uniti e la Cina è eloquente: mentre il “Made in China 2025″ e l’”Inflation Reduction Act” stanno mobilitando centinaia di miliardi in incentivi e sussidi alla base produttiva nazionale, l’Europa rischia di restare indietro in quella che è, a tutti gli effetti, una nuova competizione industriale globale. Nel dibattito sulla decarbonizzazione industriale, l’Ets resta lo strumento centrale secondo la Commissione. Tuttavia, l’esperienza degli ultimi dieci anni dimostra che il sistema, così com’è concepito, non funziona per l’industria manifatturiera. E’ urgente una revisione del sistema Ets e per quanto riguarda gli obiettivi climatici, nel settore industriale, si prevede una riduzione dell’85% delle emissioni entro il 2040 rispetto al 2015. Si tratta di un obiettivo incompatibile con la permanenza dell’industria in Europa, che implicherebbe un quasi azzeramento netto delle emissioni per i settori Ets».
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