I cosiddetti “contratti pirata” – quelli firmati da sigle sindacali e datoriali minori e meno rappresentative – sono attualmente oltre 200, coinvolgendo circa 160.000 dipendenti e oltre 21.000 aziende e sono protagonisti del dumping contrattuale, un fenomeno sempre più diffuso, in particolare tra le micro-imprese e le cooperative, e che riguarda principalmente il settore terziario e quello del turismo.
Lo sostiene un’indagine di Confcommercio, che presentando il suo rapporto “Dumping contrattuale nei settori del terziario e del turismo” lancia l’allarme su una dinamica che «riduce significativamente diritti e tutele dei lavoratori», in particolare sul piano salariale (stimati fino a 8.000-12.000 euro di retribuzione in all’anno in meno rispetto al Ccnl Confcommercio), la «flessibilità accentuata senza garanzie» e un minor numero di ferie e permessi.
Un fenomeno che, secondo Confcommercio, indebolisce il tessuto imprenditoriale e incentiva la concorrenza sleale, ma rischia anche di frenare la crescita complessiva del Paese. Non solo per il minore gettito complessivo (contributivo e tributario) per la pubblica amministrazione, pari a 553 milioni di euro, ma anche per la sua capacità di approfondire gli squilibri territoriali, data la sua maggiore concentrazione nelle aree più fragili del Paese a livello economico, in primis al Sud. Da notare che il frequente ricorso a cooperative di servizi svilisce lo stesso strumento della cooperazione nato come leva per il miglioramento sociale ed economico dei suoi soci, che in questi casi serve come leva per comprimere diritti e retribuzioni.
Confcommercio, partendo dal dato degli oltre 1.000 contratti collettivi nazionali depositati presso il Cnel (di cui «solo una parte sottoscritta da organizzazioni realmente rappresentative»), sottolinea come nei comparti del terziario e del turismo se ne contano più di 200, ma la maggioranza dei dipendenti è coperta da pochi contratti collettivi nazionali, tra cui quello firmato dalla stessa Confederazione, il più applicato nella Penisola «con circa 2,5 milioni di addetti».
«C’è bisogno di rafforzare la collaborazione con i sindacati, ma soprattutto di una maggiore attenzione da parte del Governo», commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, che all’esecutivo Meloni chiede «un impegno concreto per impedire l’applicazione di contratti sottocosto».
Tra le possibili soluzioni a quella che viene definita «una patologia che richiede interventi strutturali», Confcommercio identifica il potenziamento degli strumenti di vigilanza e monitoraggio, la comunicazione obbligatoria in tutte le sedi istituzionali dei contratti applicati, il superamento dell’attuale “giungla contrattuale” (i citati oltre mille i contratti e gli accordi esistenti), ma anche la misurazione più precisa della rappresentatività sindacale e datoriale.
Il dumping contrattuale e le sue penalizzazioni per i dipendenti si riflette anche sulla crescita del paese, visto che 1.000 euro in meno al mese in busta paga non sono affatto trascurabili e si riflettono nella capacità di spesa dei lavoratori, lavoratori che spesso necessitano di maggior interventi pubblici per arrivare a fine mese, con i relativi costi per la collettività.
In questo contesto, emerge come il mondo sindacale sia stato piegato ad interessi diversi da quelli dei lavoratori, dipendenti o collaboratori che siano, cosa testimoniata anche dai profondi mutamenti della base degli associati, dove i pensionati hanno ormai strutturalmente superato il numero dei lavoratori in servizio. Interessi che spesso riguardano le figure apicali dei sindacati, che utilizzano il mandato di rappresentanza dei lavoratori più per garantirsi un futuro personale, spesso in politica, come dimostra quanto accaduto dagli ultimi segretari nazionali della Triplice.
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