Dopo l’evidenza del fallimento economico del “Green Deal” fortissimamente voluto dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che sta causando miliardi su miliardi di euro di danni al sistema economico europeo, chiusura a migliaia di fabbriche e licenziamenti di personale a manetta, scatta la corsa all’abiura, solo che la politica non sa come uscirne, nonostante sia già ampiamente screditata e priva di credibilità.
A farne maggiormente le conseguenze è stato il settore automotive stretto, da un lato, dai vincoli posti dalle politiche europee a partire dall’obbligo di elettrificazione forzata a partire dal 2035, cosa che ha causato la reazione negativa dei consumatori che hanno acquistato meno auto, specie elettriche, e, dall’altro lato, dalla concorrenza sempre più forte e massiccia dei costruttori cinesi, forti di un prodotto auto, anche con i tradizionali motori termici a benzina che scampano pure i dazi oggi previsti per i modelli esclusivamente elettrici, all’avanguardia, tecnologicamente evoluto – pure meglio dei modelli europei – e stilisticamente accattivante, proposto a condizioni economiche decisamente più favorevoli, complice i probabili aiuti di stato del governo cinese per alleggerire la sovraproduzione sul mercato interno.
E chi ha cavalcato la moda “figa” dell’auto elettrica, una volta provata, come testimonia il sondaggio condotto da S&P Mobility, torna indietro al motore a pistoni per il 40% degli acquirenti e con un 84% degli automobilisti che ritiene i motori a scoppio più affidabili e fruibili. Tanto che pure Porsche che ha calcato la completa elettrificazione di alcuni modelli di successo, come la Macan, sta tornando in tutta fretta ai motori a pistoni.
La volontà di azzerare pure quel misero 1% di emissioni legato alla mobilità europea sta costando un’enormità al sistema economico e sociale europeo, tanto da fare dire al presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che «la posizione dell’esecutivo la conosciamo e siamo tutti d’accordo che il “Green Deal” sia la più grande cavolata che potevamo fare. Quando noi facciamo impresa, quando si lancia un prodotto, si studia l’impatto del prodotto. In Europa non è stato fatto lo studio di impatto di una misura che hanno pensato. A questo punto, ora, quindi, dobbiamo andare a mettere a posto cose che sono già state fatte».
Ecco a Bruxelles la politica ha preso decisioni sulla base di una scelta meramente ideologica, senza preoccuparsi delle conseguenze che avrebbero causato. E in un contesto aziendalista, dove le responsabilità sono chiare e precise, i responsabili di un simile fallimento sarebbero stati accompagnati alla porta senza preavviso e senza liquidazione per giusta causa. Ma in politica sono tutti irresponsabili, nonostante che pure una voce autorevole come quella di Mario Draghi, ad un anno dal suo rapporto sulla competitività europea, abbia strigliato il presidente della Commissione al suo fianco affermando come «molti divieti previsti dal “Green Deal”, come quello per i motori endotermici, non si possano rispettare».
Proprio sul tema della responsabilità della politica interviene il presidente di Confimprenditori, Stefano Ruvolo, secondo cui «siamo francamente confusi. Il vice responsabile nazionale Imprese e mondi produttivi di Fratelli d’Italia, Lino Ricchiuti, ha giustamente criticato il “Green Deal” europeo e le sue conseguenze disastrose per il nostro tessuto produttivo. Ma ci chiediamo: Fratelli d’Italia è al governo o all’opposizione? Perché a recepire e sostenere queste politiche non è stata Bruxelles da sola, è stato anche il governo Meloni».
Per Ruvolo «dal 1° gennaio 2025 è entrato in vigore l’ETS2, il nuovo sistema europeo di scambio delle emissioni, destinato a colpire aziende, PMI e famiglie con rincari su energia e carburanti che potranno arrivare fino a 230 euro annui a nucleo familiare e fino a 550 euro per le imprese. E a recepirlo è stato proprio questo esecutivo, che nel frattempo continua a distribuire incentivi a pioggia per l’acquisto di auto elettriche prodotte in Cina, alimentando la concorrenza straniera e mettendo in ginocchio la nostra manifattura. Giorgia Meloni aveva promesso che con il suo governo per l’Europa sarebbe finita la pacchia. La realtà è che oggi l’Italia sembra essere diventata il Paese del Bengodi per Bruxelles: recepisce senza fiatare ogni direttiva, anche quando significa condannare a morte le nostre aziende e interi settori industriali. A far rispettare la sovranità degli Stati membri non deve essere l’Europa, ma i governi che li rappresentano».
Difficile dargli torto.
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