Dinanzi al sostanziale fallimento della trattativa sui dazi Usa-Ue condotta dalla Commissione europea e dal suo presidente, Ursula von der Leyen, la Germania decide di fare da sé, superando a sinistra la stessa Ursula che cade dalle nuvole rispetto all’iniziativa messa in campo dal governo Merz, per il tramite del suo vicecancelliere federale e ministro dell’Economia Lars Klingbeil, incidentalmente anche presidente della Spd, che è voltato negli Usa per trattare direttamente con il suo omologo segretario al Tesoro Scott Bessent per tentare di spuntare condizioni migliori.
Erano settimane che il governo tedesco si dichiarava insoddisfatto dei risultati sui dazi Usa-Ue ottenuti da von der Leyen durante la sua trasferta scozzese al cospetto del presidente americano Donald Trump, perché il dazio al 15% non era affatto omnicomprensivo, visto che su due settori strategici per l’economia tedesca – e anche italiana – i dazi rimanevano ben più alti, 27,5% sull’automotive e ben il 50% sui prodotti siderurgici, acciaio e alluminio.
Obiettivo della trasferta del vicecancelliere tedesco a Washington è ottenere, se non un abbassamento generalizzato dei dazi Usa-Ue, almeno delle franchigie sui volumi di acciaio e di automobili esportati in Usa dalla Germania, perché l’attuale gabbia daziaria sarebbe esiziale per interi comparti manifatturieri europei e, soprattutto, tedeschi, prima realtà manifatturiera europea.
Ma se la Germania ha deciso di sorpassare l’immobilismo della Commissione Ue, l’Italia non deve stare ferma a guardare, ma deve anch’essa procedere per tutelare i propri interessi di seconda realtà manifatturiera d’Europa, riprendendo in mano la trattativa diretta tra Roma e Washington che era stata impostata, salvo sospenderla per le intemerate lanciate dall’opposizione del Pd che aveva ammonito il governo Meloni a non invadere le competenze in fatto di commercio internazionale e di dazi spettanti alla Commissione europea. Si è visto come è andata e la reazione della Germania dinanzi al fallimento raccolto da Ursula von der Leyen è significativa.
Piuttosto sarebbe da chiedere a Elly Schlein, leader del Pd Italiano, cugino della SPD tedesca, come giudica l’interventismo del ministro delle finanze tedesco nonché presidente della Spd, visto che Klingbeil ha sorpassato a sinistra – invece che da destra come stava facendo Meloni – la stessa Ursula. Al momento, sulla fuga in avanti della Germania non paiono giunti gli stessi strali che hanno accompagnato l’iniziativa italiana.
Con buona pace dei sostenitori dell’Ursula Bis, Klingbeil a Washington ha detto che «la Germania deve dare l’esempio e l’impulso a diventare più forti e indipendenti, e ciò richiede una più stretta cooperazione con partner come Canada, Gran Bretagna e Giappone per rafforzare il libero scambio» glissando totalmente sul ruolo dell’Ue, probabilmente ponendo la pietra ferale su un’Unione europea ormai ombra di sé stessa. E se la Germania fa sul serio, in attesa delle dimissioni di Ursula von der Leyen che tardano ogni giorno che passa, l’Italia non deve stare con le mani in mano, ma giocare anch’essa in prima persona per tutelare gli interessi nazionali.
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