Mentre la crisi dell’automotive europeo dilaga, la Commissione europea si balocca nello scenario di un’improbabile microcar elettrica tutta “Made in Ue”, facendo finta di non vedere come ormai il 55% di tutte le auto elettriche vendute sul mercato europeo sia stato importato dalla Cina, che si prepara ad aumentare ancora di più la sua presenza grazie a politiche commerciali decisamente aggressive – come gli sconti di 10.000 euro promessi da un costruttore – resi possibili anche dagli incentivi erogati ai produttori da parte del governo cinese, che tenta di non rallentare il ritmo della produzione interna a fronte di un mercato nazionale troppo affollato e in via di rallentamento.
Di fatto l’Ue ha importato auto elettriche e ibride per un controvalore di 42,4 miliardi quasi tutte dalla Cina, con quote marginali da Corea del Sud e Giappone, mentre ha esportato veicoli per 57,3 miliardi di euro, con il sorpasso delle importazioni sempre più vicino.
Dinanzi ad una situazione di crisi dell’automotive che sta diventando sempre più drammatica per il settore automotive europeo, i governi di Germania e Italia hanno sollecitato la Commissione europea a un deciso cambio di passo nella transizione del comparto auto che, in una lettera congiunta indirizzata a Ursula von der Leyen, chiedono a Bruxelles «responsabilità, pragmatismo e visione» per superare «le gabbie ideologiche» del suo “Green Deal”.
«Ora è il momento delle decisioni: mentre Bruxelles discute, la concorrenza globale corre», ha ricordato il ministro delle Imprese e del “Made in Italy”, Adolfo Urso, firmatario della missiva insieme all’omologa tedesca, Katherina Reiche. Un’iniziativa che spinge l’Europa «ad agire subito», proprio mentre entra nel vivo il dibattito sulla revisione del regolamento sulle emissioni di CO2 di nuove auto e furgoni, che dal 2035 imporrà lo stop alla vendita di auto a benzina e diesel. La scadenza del 2035 si avvicina mentre a rendere ancora più urgente il confronto tra Roma e Bruxelles sono i dati del primo rapporto dell’Osservatorio Sunrise, promosso da Most – Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile -, secondo cui il Paese sta vivendo un vero processo di “ricarbonizzazione” che testimonia il fallimento del “Green deal” della mobilità: tra il 2019 e il 2024, le vendite di veicoli a benzina e gasolio sono aumentate del 3,5%, con un conseguente incremento delle emissioni di CO2 del 2,9%. Numeri che fotografano la difficoltà a rispettare i target europei e che alimentano le richieste di una revisione più realistica delle politiche ambientali dell’Ue.
Sulla stessa lunghezza d’onda il cancelliere federale tedesco Friedrich Merz (Cdu), che ha chiesto il superamento del divieto della vendita al 2035 dei veicoli con motori termici, salvo che la stessa coalizione di governo tedesco non ha la medesima visione, visto che ministro dell’Ambiente, Carsten Schneider (Spd), si dice a favore del mantenimento dell’eliminazione graduale europea per i veicoli con motore a combustione interna a partire dal 2035. Ma anche a livello dei vari land federali, presidente della Bassa Sassonia Olaf Lies, che è alla guida del Land dove Volkswagen ha la sua sede centrale, ha recentemente chiesto di rivedere l’addio ai motori a combustione dal 2035. Merz ha indetto per giovedì 9 ottobre un vertice sull’auto nella cancelleria a Berlino, a cui prenderanno parte diversi ministri federali, i presidenti dei Länder interessati, nonché rappresentanti dell’industria automobilistica e dei sindacati.
E se politici e governi di area di centro destra chiedono il superamento dei divieti al 2035 per attenuare la crisi dell’automotive, chi ha investito sulla produzione di veicoli elettrici, batterie, componentistica elettrica e punti di ricarica elettrica è di parere opposto, chiedendo alla Commissione di resistere alle pressioni di cambiare il quadro normativo.
Intanto, il fallimento sostanziale dell’elettrificazione della mobilità porta Stellantis al record negativo di produzione di veicoli nuovi in Italia. Nei primi 9 mesi – secondo i dati della Fim Cisl – sono state prodotte soltanto 265.490 unità tra auto e veicoli commerciali, con un calo del 31,5% sullo stesso periodo dell’anno scorso, già di suo ampiamente negativo. Per le auto la flessione è del 36,3% (151.430 unità), per i furgoni del 23,9% (114.060). Tutte le fabbriche registrano perdite tra il 17% e il 65%. «Il 2025 chiuderà con una riduzione di un terzo dei volumi produttivi, ben peggiore di quanto previsto: poco più di 310.000 unità, con le auto sotto quota 200.000» dice il leader Fim, Ferdinando Uliano. Ben al di sotto dello strombazzato obiettivo di produrre in Italia almeno un milione di veicoli fatto dal ministro Urso.
Stellantis a livello di gruppo non sta ferma: se la produzione in Europa langue, per gli Stati Uniti, mercato che sta diventando il più importante per il gruppo, il nuovo amministratore delegato Antonio Filosa ha annunciato un piano di rilancio della produzione, con la riapertura di siti dismessi a favore dello spostamento della produzione nel più economico Messico sotto la spinta delle nuove politiche dell’amministrazione Trump, mettendo in campo una decina di miliardi di dollari per rilanciare al produzione di suv e di pickup, oltre di una vettura sportiva spinta non già dagli elettroni, ma da un più classico e coinvolgente motore a pistoni V8 da oltre 500 Cv. Quel che ci vuole per rilanciare il piacere di guida e la voglia di acquistare un’auto nuova.
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