giovedì 22 Maggio 2025
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    Si predica neutralità tecnologica, ma si finisce sempre per sostenere l’auto elettrica che è un fallimento di mercato. Il riequilibrio delle accise si trasforma solo in nuovi aumenti per i consumatori.

    Mobilità e accise: comportamenti altalenanti e contradditori del governo Meloni

    Su mobilità e accise non si capisce se il governo Meloni c’è o ci fa, visto che si rende protagonista di comportamenti contradditori che finiscono per penalizzare i contribuenti, cittadini ed imprese.

    Nell’ambito della quinta revisione del Pnrr in soli due anni, il ministro per gli Affari europei, Tommaso Foti, ha proposto di stornare 600 milioni di euro destinati alla realizzazione dell’infrastruttura di ricarica dei veicoli elettrici per impiegarli subito in un nuovo programma di rottamazione e rinnovo del parco veicolare che promuove la sostituzione di veicoli a combustione interna con veicoli a zero emissioni, con incentivi più vantaggiosi per le fasce di reddito più basse.

    Tra le cause che frenano la diffusione dell’elettrificazione della mobilità, oltre a quella relativa ai maggiori costi di acquisto, al maggiore rischio di deprezzamento del veicolo elettrico, ai maggiori costi di uso se si fa la ricarica presso i punti ad alta potenza, c’è anche la carenza di punti di ricarica che con il provvedimento di rimodulazione del Pnrr non vengono sicuramente aumentati.

    Di più: il governo Meloni si sbraccia, giustamente, per predicare la neutralità tecnologica in fatto di mobilità, contrastando in Europa la deriva esclusivamente demagogica dell’elettrificazione coatta della mobilità entro il 2035. Peccato che invece di dare seguito alla propria legittima e doverosa linea politica, nei fatti finisce con il continuare sulla sovvenzione all’acquisto dei veicoli elettrici, che in larga misura sono soldi dei contribuenti italiani che finiscono per essere esportati in Cina.

    Dalla mobilità alle accise: in quest’ambito le contraddizioni emergono dal fatto che la rimodulazione delle accise imposta dall’Unione europea volta ad abolire i sussidi ambientalmente dannosi (SAD) l’accisa tra i carburanti deve tendere a cancellare le attuali agevolazioni che fruisce il gasolio, pari a circa 11 centesimi al litro. DI qui, la scelta del governo, invece di tagliare di netto 11 centesimi dall’accisa sulla benzina, di avviare un percorso di 4-5 anni di aumenti dell’accisa del gasolio di 1,5 centesimi al litro (che diventano circa 1,9 con l’Iva al 22%) e al contemporaneo calo di 1,5 centesimi al litro per la benzina. Peccato solo che con l’entrata in vigore del provvedimento, l’aumento dell’accisa sul gasolio si è puntualmente verificato alla pompa, mentre l’atteso taglio dell’accisa sulla benzina non si è concretizzato al distributore, se non per quale infinitesimale limatura di qualche millesimo di euro al litro. Tanto che, dopo le doverose denunce delle associazioni dei consumatori, si è mossa la Guardia di finanza per accertare l’esistenza di eventuali fenomeni di truffa e aggiotaggio.

    La scelta del governo Meloni di puntare al riequilibrio delle accise con aumenti e cali è stata motivata con l’esigenza di trovare 500 milioni di euro per finanziare il rinnovo del contratto dei 100.000 autoferrotranvieri italiani, incassando il resto del maggiore gettito assicurato dai rincari sul gasolio per circa 700 milioni di euro, visto che i consumi di gasolio sono almeno tre volte maggiori di quelli della benzina.

    Mobilità e accise: ora, anche qui si registra una contraddizione, perché la spinta al rialzo sul gasolio ha effetti anche sull’aumento dei costi di trasporto di merci e servizi, a partire di quelli da largo consumo, che si riflettono anche sull’inflazione che ha già dato segnali di rialzo. Ma si riverbera anche sulla competitività della destinazione Italia in ambito turistico, visto che la quasi totalità degli ingressi esteri nel Paese avviene tramite automobile e chi va in vacanza valuta attentamente anche il costo del trasporto e del pieno. Ecco che avere un prezzo dei carburanti in Italia superiori alla media europea potrebbe essere un fattore di limitazione della competitività. Di qui, l’utilità di tagliare le tasse gravanti sui carburanti italiani che, a livello di prezzo industriale, sono viceversa tra i più convenienti d’Europa.

    Con un po’ di maggiore coraggio – e di visione complessiva del sistema Italia – il governo Meloni avrebbe potuto dare un primo taglio secco alle accise sulla benzina allineandole a quelle più basse del gasolio, per poi procedere ad un ulteriore taglio di entrambe per portarle alla media europea, con un costo di circa un miliardo che avrebbe potuto essere finanziato dai minori costi di servizio sul debito pubblico italiano – stimati in circa 5 miliardi all’anno – oltre che dal maggiore volume di affari – e del relativo gettito fiscalegenerato dal sistema turistico allargato grazie ad un maggiore volume di presenze e di spesa dei turisti stranieri.

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